L’EQUIPE SI RACCONTA

Intervista a Aissata Djibi Kane, assistente amministrativa e finanziaria

È stata lei ad aprire la porta dell’ufficio di Green Cross Italia quando, insieme alle altre tre volontarie del Servizio Civile, arrivai ad Ourossogui nel mezzo del rovente giugno senegalese. La sua voce vivace ed effervescente sprigionava un’energia solo in parte attenuata dalla compostezza di un contegno dimesso e distinto al tempo stesso. Sorridendo, si fece da parte per farci entrare, e da allora ogni mattina accoglie i colleghi con lo stesso sorriso affettuoso. È da lei che ho deciso di cominciare per raccontare lo staff di Green Cross qui in Senegal.
Da 3 anni è l’assistente amministrativa e finanziaria di Green Cross Italia. Dice di amare il suo lavoro e lo si vede.

Con scrupoloso rigore, consacri il tuo impegno quotidiano ad una ONG che si occupa di sviluppo rurale sostenibile. Ti riconosci in Green Cross? La scelta di far parte di un’organizzazione di cooperazione deriva da un concorso di circostanze fortuite o è piuttosto il frutto di un disegno premeditato?

Prima di occuparmi di amministrazione, sono anzitutto un’agente di sviluppo e in quanto tale mi identifico in una ONG come Green Cross. All’università ho seguito una formazione in Sviluppo Locale, che è durata 3 anni e mi ha appassionato molto. Posso dire di aver sempre voluto lavorare nell’ambito dello sviluppo sostenibile e la mia decisione si consolida man mano che osservo i frutti che il mio contributo apporta alle comunità.

Cosa ti motiva, quali valori o ideali ti animano nella promozione dello sviluppo locale?

Sfortunatamente non siamo nati tutti uguali: c’è chi sta bene e chi invece manca dei mezzi per condurre un’esistenza serena e per soddisfare i bisogni della propria famiglia. Vorrei dare il mio contributo in favore della giustizia sociale e diminuire il divario tra ricchi e poveri. Io mi considero fortunata: ho potuto ricevere un’istruzione e acquisire competenze inaccessibili a molti. La ricchezza che la popolazione di questa regione possiede consiste nell’agricoltura e nell’allevamento e se si vuole accrescere il suo livello di benessere è precisamente su questi settori che si deve operare.

Hai fatto allusione ad alcuni aspetti caratterizzanti la vita nelle campagne. Cosa rappresenta la parola “rurale” per te?

Pensare alla campagna evoca in me l’idea di terra, nonché degli agricoltori che la lavorano. Le due cose non possono essere concepite separatamente. Così come la vita rurale, dove le occupazioni, i tempi i suoi orizzonti e la sua essenza, insomma, sono inscindibili dalle attività agricole che la scandiscono.

Sembra dunque che nel tuo sentire vita ed economia rurale si rispecchino l’una nell’altra. Sei nata e cresciuta in un villaggio del Dipartimento di Kanel e condividi l’etnia peul della maggioranza della popolazione della regione, eppure conduci uno stile di vita molto diverso da quello dell’ambiente dal quale provieni. Puoi ancora dire di riconoscerti in un’appartenenza comune a quella degli abitanti del villaggio e quindi dei beneficiari dei progetti di Green Cross?

Certamente. Da questo punto di vista niente è cambiato. Ciò che è avvenuto, piuttosto, è che relazionandomi alla mia popolazione non in quanto sua componente, ma come agente di cooperazione, ne ho scoperto aspetti che in precedenza non avevo avuto modo di notare. Ora posso dire di conoscerci meglio!

Alla luce di ciò, cosa consiglieresti ai beneficiari di un intervento di cooperazione per lo sviluppo rurale?

Raccomanderei loro di continuare sempre a fare la propria parte. A volte ho assistito alla tendenza di alcuni a fare affidamento eccessivo sui programmi di sviluppo. Questi, invece, non possono essere realmente efficaci se non sostenuti da abbondanti risorse locali, intese in primo luogo come il lavoro e le capacità degli agricoltori, tanto più che le ONG non possono supportarli che per un periodo limitato di tempo. Le organizzazioni di cooperazione non danno semplicemente: danno per ricevere, per ottenere risultati dagli attori locali a fianco dei quali lavorano, con l’obiettivo di renderli gradualmente indipendenti.

Hai invece dei suggerimenti da dare a Green Cross Italia?

Sono molto soddisfatta del lavoro di Green Cross! Tuttavia, anche noi possiamo migliorare. Mi piacerebbe un giorno vedere GCIT estendere le sue attività ad altri settori ed occuparsi di salute, o rafforzare gli interventi WASH. Ancora, spero che nei prossimi anni Green Cross appoggerà lo sviluppo sostenibile nella fascia più meridionale della regione di Matam, il Dipartimento di Ranérou, poiché è una zona con scarsi mezzi e geograficamente marginalizzata.

Sei una donna che lavora. Hai dovuto batterti per farlo? C’è qualcosa o qualcuno che ti ha incoraggiato in questa direzione?

In quanto donna che proviene da una piccola località dell’entroterra senegalese, la mia scelta di lavorare è considerata da taluni quasi eversiva. Qui le donne il più delle volte si occupano della casa, o tutt’al più svolgono attività che rientrano nell’economia familiare o nel piccolo commercio. Alla mia gente non è piaciuto nemmeno che io abbia lasciato il villaggio per una ragione diversa dal matrimonio. Ci sono persone che hanno commentato negativamente il percorso che ho preso e che ancora oggi continuano a parlare di me, ma fortunatamente godo del pieno supporto dei miei genitori.

Altrove invece come è vista la tua scelta?

Secondo la mentalità ancora prevalente nella regione, se una donna lavora per un’organizzazione, dovrebbe ricoprire un ruolo di ufficio, quindi al momento la mia posizione non crea problemi al riguardo. Ricordo però di aver suscitato la perplessità, a volta la contrarietà, di alcuni colleghi nel corso degli stage che ho svolto durante la mia formazione. Lavoravo sul campo, ero a tutti gli effetti immersa nei siti di intervento, a diretto contatto con la popolazione e questo aspetto di prossimità mi piaceva enormemente. Eppure, mi sono sentita dire che quello non era un ruolo adatto a me in quanto donna e addirittura che, calzando pantaloni, mi vestivo da maschio!

Hai dunque acquisito non poche esperienze, considerando la tua giovane età, e ti sei sperimentata tanto sul campo che nella cabina di pilotaggio di una Organizzazione Non Governativa. Quale ruolo immagini per te nel futuro?

Quando ancora ero una studentessa, ci dicevano che il percorso di formazione ci avrebbe reso polivalenti. Ne sono pienamente convinta! Il mio desiderio è di continuare a lavorare, ma anche di approfondire la mia formazione, in modo da poter ricoprire in futuro un ruolo con maggiori responsabilità. Chissà, forse un giorno potrò addirittura aspirare a presiedere una ONG… In quanto agente di sviluppo, sarei ben disposta a lasciare la mia terra e contribuire alla crescita di altre regioni, di altri paesi addirittura. Non si può localizzare lo sviluppo: esso è duraturo solo se diffuso. Sarei felice di propagarlo ovunque occorra.

Giorgia Trodini, volontaria Servizio Civile Universale